Friday, February 17, 2012

Numero quarantanove

Torino, 18 febbraio 2012 - Numero quarantanove


Correva l’anno 1988 quando Alberto Rubinelli, novarese, titolare di una piccola azienda di sistemi per l’automazione industriale, salva dalla rottamazione un sistema di sviluppo della Intel. Era il primo pezzo di una collezione destinata a crescere. Di pari passo crescevano le esigenze di spazio dove ospitare tutto il materiale raccolto: dapprima la cantina di casa, poi il garage, infine l’affitto di un capannone. Nonostante gli sforzi, anche economici, continuassero a crescere, la raccolta proseguiva con caparbietà. Oggi il Museo del computer, anche se non ancora aperto al pubblico, è una realtà ricca di 4800 apparecchiature per un totale di oltre 2900 modelli differenti, cui si aggiungono i manuali di istruzione, i software, le periferiche e una grande quantità di parti di ricambio sciolte. Ad affiancare il fondatore adesso c’è uno sparuto gruppo di volontari che si occupano di piccole riparazioni elettriche e meccaniche, compiendo alle volte salvataggi al limite del possibile. Il lavoro di catalogazione, documentazione e schedatura dei reperti è poderoso e trova pratica attuazione grazie alla passione dei volontari che prestano la loro opera a titolo completamente gratuito. Il prossimo obiettivo del Museo è quelli di trovare una sede idonea per renderlo fruibile al grande pubblico, per renderlo un museo vivo, completamente diverso da un museo di oggetti morti. Forse, sono parole del fondatore, più che museo, potrebbe chiamarsi lo zoo dei computer. Anche gli obiettivi del CEMED sono quelli di trovare una sede idonea per rendere fruibile al grande pubblico l’immenso patrimonio storico scientifico conservato in Ateneo. In questo caso, potremmo forse parlare di zoo della scienza? (Gianfranco Albis)

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