Torino, 10 gennaio 2012 - Numero nove
“Ci chiediamo sempre cosa sia un museo, e ci scontriamo ogni volta con la difficoltà di trovarvi un denominatore comune: poiché i musei sono individualità storiche diverse le une dalle altre, molto più delle biblioteche, alle quali di solito (ma ingiustamente) vengono apparentati; poiché il messaggio di un museo è molto complesso, fatto di una globalità differenziata, di parti diverse e tutte ugualmente importanti; poiché il museo è un luogo che invita non solo alla consultazione ma anche all’emozione estetica. […] Ma il museo è anche un’emozione storica. Non è solo luogo dove si stratificano oggetti e reperti secondo i loro tempi storici di accumulazione: è anche un deposito di emozioni. […] Alla luce di tutto questo bisogna dunque tornare a riflettere sulla forma museo, per capire se vogliamo davvero farne uno strumento di crescita culturale della società. […] Se la società e la cultura dei consumi, che conquista progressivamente (e forse non per portare progresso) tutto il pianeta, avrà ancora bisogno dei musei per la loro qualità di depositi del trascendentale, di depositi di oggetti che esprimano ancora certi sistemi di valori, cosa rappresenteranno i musei? Saranno forse delle “aree protette” dai veleni della società dei consumi, e per questo da essa stessa volute a garanzia di una qualche sopravvivenza? E a chi saranno affidati questi oggetti globali che custodiscono memorie e producono idee: ancora agli studiosi, ai saggi, ai pensatori, ai collezionisti, oppure ai manager? […] “.
Sono parole di Alessandra Mottola Molfino tratte dal primo capitolo del suo volume Il libro dei musei (Torino : Umberto Allemandi & C., 1991, pp. 9 sgg.). Nonostante siano state scritte venti anni fa, sono drammaticamente attuali. (Gianfranco Albis)
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